domenica 23 marzo 2008

Sì, Christian Rocca ha ragione...

Forse Christian Rocca ha ragione, più di quanto immagini egli stesso, quando commentando en passant Inter-Juventus dice che “non è successo nulla” e quando, in un post precedente parla di un imminente ritorno del calcio alla “normalità democratica” (cioè al dominio di Juventus e Milan).

Il calcio sta per tornare alla sua dimensione normale, per la soddisfazione delle masse.
Il problema è proprio questo.

La gente - un’ampia porzione, i tifosi della Juventus in primo luogo - “vuole” che la Juve vinca, con le buone o con le cattive. Meglio con le cattive, cioè con i gol in fuorigioco, i rigori negati, i gol fantasma, perché questo modo di vincere provoca nei suoi tifosi il piacere di sapersi potenti, arroganti, “uomini di rispetto”.
Del resto, la Juventus non è una squadra di calcio come le altre. Se lo fosse, avrebbe i suoi sostenitori nella sua città. La Juventus, da decenni, ha reclutato i suoi tifosi in tutta Italia, in maniera trasversale, forse proprio perché in lei si riconosceva una certa Italia. L’Italia del malaffare, del “lei non sa chi sono io”, l’Italia che convive serenamente con la mafia, la camorra, la sacra corona unita, la ‘ndrangheta, l’anonima sequestri... Ma anche, più semplicemente, l’Italia che parcheggia in doppia fila e si fa cancellare le multe dal cognato che lavora in Comune, l’Italia dei finti invalidi, l’Italia che passa col rosso e che ti manda affanculo se solo glielo fai notare. È la stessa Italia che se per una volta, una volta nella vita, viene multata subito si dispera, strilla all’ingiustizia, piagnucola, fa la vittima. L’Italia eterna, immortale.
Gli italiani hanno scelto la Juve perché in lei possono specchiarsi e ritrovarsi: in quelle vittorie manipolate, estorte, prenotate per lettera o per telefono, gli italiani ritrovano il loro muso ghignante di contadini furbi, ladruncoli, evasori, piccoli furfanti impuniti. E sorridono, felici e commossi insieme.

Per qualche mese, il calcio italiano è rimasto allo sbando. È successo che, per alcuni mesi, ci sia stato un campionato normale. Con errori, tanti, un po’ qui e un po’ là.
Errori che, per la prima volta dopo decenni, erano casuali e non erano studiati e premeditati, coordinati da una sapiente regia e finalizzati a uno scopo - far vincere sempre e comunque la Juventus.

La cosa ha fatto impazzire di rabbia i Rocca, i Mughini, i nove milioni di juventini disposti a votare Moggi... Ma non solo loro. Sembra che anche il resto d’Italia - o comunque una sua buona parte - anche una buona parte dell’Italia non juventina si sia sentita frastornata, confusa, allo sbando.
La Juve che vince con lo “stile Juve” (chiamiamolo così) era qualcosa di così presente, così profondamente radicato nella nostra esperienza, che a quanto pare per molti italiani era la quintessenza stessa del calcio.

Se chiedessimo agli italiani cos’è il calcio, probabilmente la maggioranza risponderebbe qualcosa del genere: “Il gioco del calcio è una competizione alla quale partecipano due squadre di undici giocatori e un arbitro, che fa vincere la Juventus”.
Evidentemente, tanta è l’abitudine, da così tanti anni il rito si ripete, con mille variazioni ma sempre uguale nella sostanza, che per la maggioranza degli italiani questo è diventato un assioma indiscutibile.

E così gli italiani, ritrovatisi per alcuni mesi di fronte a un campionato nel quale, per la prima volta dopo anni, decenni, la Juventus non “doveva” vincere a priori, con le buone e meglio ancora con le cattive, posti di fronte a un campionato normale, gli italiani non si sono ritrovati più. Hanno provato sconcerto, spaesamento, paura, rabbia: il mondo familiare nel quale erano nati e cresciuti, il mondo drogato al quale si erano assuefatti, di colpo era cambiato.

Ora, possono tirare un sospiro di sollievo.
È tornata la normalità.
La Juventus va a San Siro, affronta l’Inter, vince con un gol in fuorigioco e grazie a un gigantesco rigore negato. I giornali, le televisioni, i blog sorridono, rassicurati e rassicuranti. Non è successo nulla: le moviole taceranno, Cobolli Gigli non scriverà lettere per lamentarsi del “danno irreversibile” causato dal gol di Camoranesi in fuorigioco, gli urlatori professionisti dalla voce arrochita a furia di berciare di “aiutini” berranno un bicchier d’acqua e fingeranno di non aver visto nulla.

Tutto è pronto perché già dall’anno prossimo si ritorni alla normalità democratica annunciata da Christian Rocca: un certo numero di scudetti stabiliti per contratto alla Juventus e un “minimo garantito” al partner tecnico, il Milan, che ci mette le televisioni. Agli altri, ai cani che scodinzolano ossequiosi - gli amici di Messina, Catania, Roma, Siena - un posto in serie A quando possibile e qualche comparsata in tv, ogni tanto.

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